giovedì 20 novembre 2008


Sono sempre rimasto in qualche modo ipnotizzato dalle corse da criceto in laboratorio delle borse mondiali. Il trader europeo si sveglia presto la mattina per seguire la fine della giornata borsistica giapponese, che ovviamente è influenzata dai risultati della borsa di NY che ha chiuso tre o quattro ore prima dell'apertura giapponese. Il risultato giapponese dà un'indicazione ai mercati europei, che vivono quindi la loro giornata in attesa dell'apertura della borsa di NY nel primo pomeriggio (sempre European time) per lasciarsi quindi guidare da quanto accade oltre oceano. Quando le borse europee chiudono, Wall Street è alle prese con la tarda mattinata e i trader USA prima guardano ovviamente quello che è appena successo in Europa, poi vanno per la loro strada, per guidare quindi ancora la nuova apertura della borsa di Tokyo. Insomma, un bel "gira la ruota!". Ci fossero anche i soldi per comprare le vocali e le consonanti ...

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mercoledì 12 novembre 2008

Se cade il dollaro ...


Lo credereste possibile? La valuta-rifugio per eccellenza, riparo sempre e comunque, ancora di salvezza per tutto il mondo. Eppure per molti economisti sembra arrivato il momento, difficile anche soltanto da immaginare, di ipotizzare un default per la moneta USA.
Se ne parla da tempo sul sito dell'ottima organizzazione Usemlab, portavoce della famosa Scuola Austriaca (qui, l'ultimo articolo di una lunga serie). Anche voci americane non si astengono da un silenzio che sa soltanto di "buona" educazione (qui, un post con annesso articolo tratto da Barron's).
Buona lettura!

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martedì 11 novembre 2008

Paradisi fiscali #1


Tempi di crisi o boom alle stelle, non c'è stagione finanziaria che non veda trionfare i paradisi fiscali. Stortura dei mercati finanziari o provvidenziale approdo per i grossi patrimoni?
I paradisi fiscali esistono da sempre, da quando esiste la finanza, almeno. Ciò che dovrebbe meravigliare è la solita, ormai scontata, sorpresa che accoglie le notizie come questa di oggi su Repubblica. I mezzi di informazione ammantano di sensazionalismo qualcosa che è nella natura stessa dell'imprenditoria, e cioè pagare meno imposte, in modo legale (elusione) o illegale (evasione).
E non si venga a dire che i governi sono al lavoro per eliminarli; non è vero. I paradisi fiscali non sono soltanto le isolette dei Caraibi o la Svizzera, no. I paradisi fiscali sono dentro l'Unione Europea, alcuni paesi lo sono in prima persona, altri sono fantastiche teste di ponte. Come avviene ciò? Semplice, la chiave di volta sono i trattati contro le doppie imposizioni. Questi accordi tra gli stati consentono di impedire che un contribuente paghi, per esempio, due volte (in due paesi) le imposte sullo stesso reddito. Sarà ovviamente cura del contribuente cercare di spostare le proprie attività produttive lì dove il fisco tartassa di meno. E fin qui, niente di male. In genere, i paesi industrializzati non stipulano trattati contro le doppie imposizioni con i c.d. paradisi fiscali: per esempio, il principio di cui sopra non vale nel caso in cui contribuente italiano si costruisca un rapporto di business con una società domiciliata nelle Isole Vergini Britanniche per sostenere dei costi e abbattere così l'imponibile in Italia. In questo caso, giustamente, il fisco italiano rivendica presuntivamente il diritto di falcidiare il reddito, senza tenere conto dell'operazione più o meno fittizia posta in essere. Peccato però, che la rete delle autorità fiscali dei vari paesi abbia maglie troppo larghe. L'Inghilterra, per esempio, non è propriamente un paradiso fiscale, ma - forte di indubbi ottimi rapporti politico-diplomatici - ha stipulato trattati contro le doppie imposizioni con le proprie ex colonie (Cayman, Vergini Britanniche, Jersey, ecc.). Lo stesso ha fatto l'Olanda con le Antille Olandesi, per esempio. Che cosa significa questo?

[continua]

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domenica 9 novembre 2008

Obama e la cruda realtà


Anch'io ho fatto il tifo per Obama. La novità che quest'uomo esprime, per motivi oggettivi e soggettivi, è davvero di portata epocale. Ma la politica chiede sempre il conto al successo e neanche Obama può sfuggire: dentro e intorno l'aura che si è creata intorno a lui, soldi e potere passano alla cassa e pretendono di partecipare al bottino da loro stessi creato.
Qui di seguito un pezzo di Dagospia, con annesso articolo di Lucia Annunziata per La Stampa.

* * *

VI SVELIAMO CHI E QUALI INTERESSI ‘RAPPRESENTA’ DAVVERO BARACK HUSSEIN OBAMA - CHI HA SCUCITO 700 MLN $ PER ELEGGERLO - ISRAELE SEGÒ HILLARY - CHI È RAHM EMANUEL - (DEDICATO ALLE ANIME BELLE CHE SPARANO ROMANTICHE CAZZATE SUL NUOVO ‘MESSIA NERO’)

1 - CHI E QUALI INTERESSI ‘RAPPRESENTA' - DAVVERO - IL 47ESIMO PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI
Oggi è domenica, il giorno del Signore, e Dagospia è buono e vuol salvare le anime belle in servizio permanente effettivo dello Stivale - tanto per non fare i nomi, da Veltroni a tutta la stampa bipartisan dei Barack-ati - svelando non la solita pippa tenere e romantica di chi è Barack Hussein Obama bensì la cosa più importante per noi sudditi dell'Impero: chi e quali interessi ‘rappresenta' - davvero - il 44esimo presidente degli Stati Uniti.

1 - OBAMA RICOPERTO D'ORO
Obama è in assoluto il personaggio della politica americana che ha raccolto il maggior numero di finanziamenti per la sua campagna elettorale: oltre 700 milioni di dollari. Una sommetta, ai prezzi attuali e dissestati della Borsa, che permetterebbe di acquisire 4/5 aziende medio-grandi d'Italia. Non basta: a parità di potere di acquisto, 700 milioni $ più spiccioli sono praticamente il doppio della cifra che raccolse John F. Kennedy negli anni Sessanta, che fu considerata il record dei record. Mica è finita: quale candidato si è mai permesso di pagarsi il lusso di 30-minuti-30 di spot elettorale sui tre maggiori network americani nell'orario di maggior ascolto? Bianco o nero, nessuno.

2 - IL FATTORE ISRAELE CHE SEGÒ HILLARY E L'ARRIVO DI EMANUEL
Ora è lampante e lampeggiante l'appoggio massiccio dei poteri forti della finanza Usa. In particolare della grande finanza ebraica di New York, che è quella che ha davvero segato le ambizioni da "Lei non sa chi sono io!" della signora Hillary Clinton, rea di essere troppo indipendente dagli interessi di Israele.

Tant'è che la prima scelta del neo eletto Obama è stato Rahm Emanuel, un capo di gabinetto non solo ebreo ma ebreo-militante, figlio di un membro della causa Laganà, il gruppo terroristico degli ultrà comandati da Begin, autore dell'attentato all'Hotel King David di Gerusalemme in cui morirono una cinquantina di moglie e figli degli ufficiali britannici di stanza in Palestina. Un ‘simpatico' messaggio per dire a Londra: dovete lasciare la nostra terra.

A proposito di Emanuel. È un tipino fino - ha svelato ieri l'Abc news - che era nel consiglio di amministrazione della Freddie Mac, il famigerato istituto di mutui, un'impresa privata con supporto governativo, coinvolto in uno scandalo per aver falsificato i rendimenti ingannando gli investitori tra il 2000 e il 2002, quindi salvata e commissariata da Bush.

3 - IL ‘MAVERICK" DI MCCAIN, L'INESPERTO OBAMA
Basta fare un giro per i palazzi che contano di Washington per percepire la grande soddisfazione del trionfo di Obama. John McCain era ed è considerato un "maverick", un tipo "bizzarro" ed anche pericoloso perché veramente indipendente. L'inesperto Obama è invece la ciliegina sulla torta per chi controlla/gestisce le scelte internazionali dell'unica e sola superpotenza - la Cina, se mai raggiungerà il livello Usa, lo sarà fra un secolo, mentre la Russia è ridotta a una cricca di affaristi con tendenza al ricatto per ottenere qualche rublo in più dalla vendita di gas e petrolio.

4 - SOTTO LA SPINA DORSALE DEI POTERI FORTI
Ma chi rappresenta il vero establishment ("the backbones", "la spina dorsale" del Paese, come dicono gli analisti americani)? La finanza e le banche, alcuni settori dell'industria dell'energia e delle nuove tecnologie (tutti settori vicini al potentissimo, con tanto di grembiulino, John D. Podesta), un pezzo della Cia e soprattutto gli ambienti intorno all'Fbi che sono i veri sacerdoti degli interessi Usa.

Ebbene, questo brillante ‘formazione' vede in Obama una grande opportunità per conquistare all'Impero aree di influenza dello scacchiere mondiale che la disastrosa presidenza di Bush aveva seriamente compromesso. In primis, i mercati emergenti dell'Africa, dell'Asia e di gran parte dell'Europa occidentale.

5 - BARACK E BURATTINI (E BURATTINAI)
Insomma, care anime belle d'Italia, l'"alba del nuovo giorno", il "dream re-loaded di Martin Luther King", il ‘Messia che scende in terra per portare pace e amore agli uomini di buona volontà' (vedi subito le dichiarazioni scodellate un'ora dopo il voto contro l'Iran per l'eventuale costruzione della bomba atomica), il "cambiamento", se ci sarà, sarà solo di facciata: questi comandano e continueranno a comandare anche se faranno un po' più di ammuina verso quel baraccone inutile dell'Onu. Quello che è certo è che la politica internazionale americana sarà notevolmente rafforzata. Le differenze con gli anni di Bush ci saranno soprattutto in politica interna.

2 - LE VECCHIE CAMBIALI DI BARACK
Lucia Annunziata per La Stampa

Ieri si è dimesso il Presidente di una delle più potenti Commissioni di Washington, il Senate Appropriations Committee, che vigila sullo stanziamento di miliardi di fondi ordinari e straordinari.
Il senatore Robert Byrd, che ha 91 anni, ha preso, dopo 50 anni, la storica decisione delle dimissioni in omaggio al «nuovo giorno che scende su Washington». L'episodio è raccontato con malcelata ironia dai giornalisti della Capitale, visto che la rimozione «spontanea» del senatore, è il primo segnale di un vasto giro di appetiti e di un ampio valzer di poltrone che la stravittoria di Obama ha innescato a Washington e dentro le file del partito democratico.
Appetiti che appaiono tali a tutte le latitudini e in tutti i sistemi politici: se Byrd ha infatti saputo difendere la sua poltrona per 50 anni a dispetto di tutto («C'è una stagione per ogni cosa», ha detto lasciando il suo posto), una doppia dose di involontaria ironia vuole che il suo successore abbia «solo» 84 anni: è il democratico delle Hawaii Daniel Inouye, che per questo trasferimento lascia l'altrettanto potente posizione della Presidenza della Commissione Commercio, Scienza e Trasporti. Al suo posto sarà nominato il senatore John Davison Rockefeller che lascerà la Presidenza della Commissione Intelligence alla senatrice Dianne Feinstein, democratica della California.
Al Congresso, i valzer degli incarichi mostrano intanto come la élite dell'élite del partito democratico si prepari a intascare l'enorme vittoria che ha riportato, insieme a Obama. I democratici tornano infatti al potere a Washington con un peso elettorale che fa impallidire persino l'epoca di Bill Clinton.
Ma se queste notizie che arrivano dai corridoi di Washington sembrano contraddittorie, rispetto alla magia che emana la trascinante figura di Obama, in realtà dimostrano che il presidente neoeletto e il suo partito sono già scesi dall'Olimpo, e che la macchina di poteri, ambizioni e lotte interne che è l'anima di ogni governo, a cominciare da quello della più grande nazione del mondo, ha già acceso i motori.
L'atterraggio della navicella spaziale elettorale è stato ben raccontato, tre giorni fa, dalle impietose telecamere durante i 20 minuti della prima conferenza stampa del Presidente, dietro a cui si è composto (involontariamente?) un gruppo che ricordava in maniera inquietante la «Ronda di notte» di Rembrandt.
Il primo, ben in vista era Rahm Emanuel, al lato di Obama c'era l'ex Segretario del Tesoro Robert Rubin, e dietro Obama l'ex presidente della Federal Reserve Paul Volcker. Brevemente inquadrato, è comparso anche un altro ex Segretario del Tesoro, Lawrence Summers. Tutti ex clintoniani ed esponenti di quell'iperliberismo che negli Anni Novanta venne sdoganato a sinistra dalla terza via di Clinton. Tornano tutti loro, dunque?
Ma se si guardava bene al gruppo, vi apparivano anche radicali come David Bonior, ex congressman del Michigan, uomo dei sindacati, che aspira oggi, si dice, proprio all'incarico di ministro del Lavoro; e Robert Reich, ex clintoniano, che nel recente dibattito sul salvataggio di Wall Street si è distinto per le sue critiche alla grande finanza.
Tutto questo forma - sia pur lentamente - una prima più realistica immagine della nuova amministrazione Usa. Per quanto lo si ami come un Mosè, Obama è un uomo politico in carne e ossa, che è arrivato dov'è grazie a una grande dose di realismo e pragmatismo. Colore della pelle o meno Obama non sarebbe dov'è oggi se non avesse anche fatto molti patti e firmato molte cambiali: con il suo partito, una vasta base di vari elettorati, nonché molti interessi economici che lo hanno magnificamente sostenuto. Le varie componenti di questo mondo democratico, premiato e rafforzato come si diceva proprio dalla vittoria di Obama, costituiscono nella pratica una realtà molto meno nuova, e soprattutto molto meno «cambiabile» di quel che Obama ha promesso e promette.
Queste elezioni hanno fatto vincere infatti i democratici in aree dove da anni non avevano nemmeno rappresentanti. Le vittorie hanno portato a Washington i personaggi più diversi fra loro: da veri conservatori che hanno sconfitto i repubblicani in zone come la Virginia, ai rappresentanti delle molte organizzazioni di Comunità (Obama è il primo presidente che ha iniziato la propria carriera come Community Organizer). Se l'establishment, dunque, come si diceva, si ridistribuisce tranquillamente le carte, queste altre realtà già scalpitano, come si può leggere su The Nation o sul New York Observer.
Riuscirà Obama, e come, a tenere insieme tutti questi elettorati? Come si ricorderà, Obama ha pagato nella Convention il suo prezzo alla sconfitta di Hillary e alle paure dell'establishment del partito, di fatto abbassando la sua polemica sul rinnovamento interno, e allargando la sua piattaforma includendo quasi tutte le richieste sociali. Oggi paga questi patti richiamando al lavoro molte delle figure del partito, omaggiando i vecchi senatori, riportando in auge i migliori dell'epoca clintoniana, e pagando persino un omaggio all'appoggio decisivo datogli dai Kennedy.
Quello che si profila è uno schieramento efficace e competente, ma, appunto, per nulla «rinnovato» e soprattutto in totale continuità col passato. E' presto ancora, certo. Ma fin d'ora queste scelte ci fanno dire che mai forse come nel caso di Obama è necessario innamorarsi poco della parole, e badare molto alla sostanza.

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martedì 4 novembre 2008

Sesso e denaro

Interessante come nell'ultimo mese e mezzo il rapporto - sempre caldo a ogni latitudine - negli USA si sviluppi ancora e più del solito. I magazine più venduti fanno a gara per offrire storie, esaminare prospettive psicologiche, vendere nuove esperienze.
Qui, la storia di una storia nata e interrotta dal crollo di Lehman Bros. Qui, invece, saggi consigli su come mantenere il menage matrimoniale durante la crisi finanziaria. Ancora, qui, la "recessione sessuale" vista da una sessuologa.
In Italia, grazie a una sana e lungimirante progettazione politica, in quanto a "sesso e denaro" non temiamo concorrenza. Siamo all'avanguardia.

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lunedì 3 novembre 2008

Consigli di lettura


Cercavo su Webster un testo dal titolo "Il segreto bancario e fiduciario in Italia e all'estero". L'applicazione, gentile e disponibile ad aiutarmi, mi propone quattro testi definiti "correlati": cliccate pure sullo screenshot qui a fianco.
Qualcuno sarebbe in grado di spiegarmi che cosa c'entrano "Tutte le poesie" di Quasimodo o "Sepolcri, Odi e Sonetti" del Foscolo o gli "Inni alla notte" di Novalis?

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domenica 2 novembre 2008

Posti del cuore


Quando si dice che a Bologna si mangia bene, tocca stare attenti. E' vero che la cucina bolognese offre piatti con ineguagliabile ricchezza di sapori, ma è anche vero che la città pullula di trappoloni per turisti e foresti. I posti davvero buoni, con sapori ruspanti e modi attenti alla forma, chiacchiere sincere e profondamente accoglienti, sono davvero pochi.
Uno di questi è senza dubbio l'Osteria Bottega. Il solo percorrere Via Santa Caterina, silenziosa e colorata di caldo, porticata come la vera Bologna deve essere (almeno per me che bolognese non sono) lascia intendere che alla Bottega si va per mangiare, non per nutrirsi. Per gustare la "z" dolce di Daniele e Davide come l'ineguagliabile pasta fresca, la dolcezza della spalla cotta come la matronale cotoletta petroniana.
Il menù di oggi prevedeva: mortadella con aceto balsamico stravecchio, tagliatelle al culatello, tortellini, cotoletta bolognese, zucchine ripiene di polpettine di carne, parmigiana di melanzane, patate al forno, gelato super-artigianale preparato in mattinata. Il tutto, generosamente innaffiato di Grasparossa di Castelvetro.
Vabbè, torniamo a Roma che è meglio.
E che qualcuno preghi per il mio fegato.

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