La guerra in Libano rovina anche la vendemmia
Nella moltitudine di disgrazie che hanno accompagnato e che seguono la guerra israelo-libanese, c'è anche il riflesso economico sul business del vino. Nonostante la valle della Bekaa abbia salvato molta parte del raccolto delle proprie uve, i vinificatori libanesi lamentano rilevanti perdite nei propri affari. Il turismo vinicolo è storicamente molto collegato con le attrattive turistiche della regione e la distruzione delle strade, tra le altre cose, ha inciso negativamente.
L'industria libanese del vino nel 2005 vantava ricavi dall'export per 10,5 milioni di dollari e rappresentava anche il modo migliore di vendere il prodotto Libano, sempre alla ricerca di gratificazione internazionale dopo le guerre che per decenni l'avevano martoriato. Neanche i dettami musulmani hanno rallentato negli anni la crescita della produzione di vino. D'altra parte, non è una novità che anche i Siriani, popolo che vanta molti più abbienti di quanto si creda, usa trascorrere fine-settimana rilassanti nel paese dei cedri, lasciandosi andare a discrete libagioni. Non è neanche un caso che l'Arak, superalcolico prodotto di distillazione, somigliante all'ouzo o al pastis, sia vendutissimo e consumatissimo proprio in questi due paesi.
Soltanto 50 miglia più a sud, anche in Israele il vino vende: nel solo 2005 ben 175 milioni di dollari. Come ogni cosa in questi due paesi, ogni attività non può prescindere dalla variabile "guerra".
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3 Commenti:
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