lunedì 21 agosto 2006

(In)Giustizia lenta

Durante la settimana di rilassamento forzato, rileggevo le solite frattaglie di articoli – cartacei e non – che avevo ritagliato come un bravo studentello alle prese con le sue ricerche. Fra le cose che mi avevano colpito c’è un articolo dell’Economist, che fra le tante sue battaglie, tutte votate al credo del liberismo spinto e indiscutibile (con i pro e i contro che ne derivano), non manca di sottolineare la piaga della lentezza della giustizia. No, non stiamo parlando dell’Italia, ma della fiera nascente dell’economia asiatica, pronta a ruggire persino contro – a volte “con” (si dia un’occhiata al mio post qui sotto) – la Cina.
Ebbene, il mito del sistema giudiziario indiano, ereditato dai colonizzatori inglesi ai tempi dell’impero e fulgido esempio del radicamento della common law (il sistema giuridico tipico dei paesi anglosassoni e basato sulla prevalenza della sentenza del giudice) cade ingloriosamente a pezzetti. Le cause pendenti sono oltre 30 milioni, il rapporto giudici/abitanti è di 11 per ogni milione di persone (contro i 51 in UK e 107 in USA, tanto per restare a paesi con sistemi giudiziari simili). Esemplari sono due casi di arbitrati con somme in gioco di milioni di dollari USA: nonostante la scelta dell’arbitrato, che nel commercio internazionale è scelto come un ottimo surrogato della giustizia ordinaria per velocizzare il procedimento e garantire un’adeguata tutela anche economica della parte vittoriosa, dopo ben cinque anni in un caso e addirittura otto nell’altro si è ancora in attesa di una decisione finale, ritenuta ancora lontana.
Ogni sistema economico deve poter garantire un efficace sistema giudiziario che consenta la risoluzione delle controversie; in caso contrario, il rischio d’impresa raggiunge livelli ben maggiori di quelli indicati nei manuali di economia. L’India non può permettersi questa variabile impazzita per gli investitori stranieri.

0 Commenti:

Posta un commento

Iscriviti a Commenti sul post [Atom]

<< Home page