Obama e la cruda realtà
Anch'io ho fatto il tifo per Obama. La novità che quest'uomo esprime, per motivi oggettivi e soggettivi, è davvero di portata epocale. Ma la politica chiede sempre il conto al successo e neanche Obama può sfuggire: dentro e intorno l'aura che si è creata intorno a lui, soldi e potere passano alla cassa e pretendono di partecipare al bottino da loro stessi creato.
Qui di seguito un pezzo di Dagospia, con annesso articolo di Lucia Annunziata per La Stampa.
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VI SVELIAMO CHI E QUALI INTERESSI ‘RAPPRESENTA’ DAVVERO BARACK HUSSEIN OBAMA - CHI HA SCUCITO 700 MLN $ PER ELEGGERLO - ISRAELE SEGÒ HILLARY - CHI È RAHM EMANUEL - (DEDICATO ALLE ANIME BELLE CHE SPARANO ROMANTICHE CAZZATE SUL NUOVO ‘MESSIA NERO’)
1 - CHI E QUALI INTERESSI ‘RAPPRESENTA' - DAVVERO - IL 47ESIMO PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI
Oggi è domenica, il giorno del Signore, e Dagospia è buono e vuol salvare le anime belle in servizio permanente effettivo dello Stivale - tanto per non fare i nomi, da Veltroni a tutta la stampa bipartisan dei Barack-ati - svelando non la solita pippa tenere e romantica di chi è Barack Hussein Obama bensì la cosa più importante per noi sudditi dell'Impero: chi e quali interessi ‘rappresenta' - davvero - il 44esimo presidente degli Stati Uniti.
1 - OBAMA RICOPERTO D'ORO
Obama è in assoluto il personaggio della politica americana che ha raccolto il maggior numero di finanziamenti per la sua campagna elettorale: oltre 700 milioni di dollari. Una sommetta, ai prezzi attuali e dissestati della Borsa, che permetterebbe di acquisire 4/5 aziende medio-grandi d'Italia. Non basta: a parità di potere di acquisto, 700 milioni $ più spiccioli sono praticamente il doppio della cifra che raccolse John F. Kennedy negli anni Sessanta, che fu considerata il record dei record. Mica è finita: quale candidato si è mai permesso di pagarsi il lusso di 30-minuti-30 di spot elettorale sui tre maggiori network americani nell'orario di maggior ascolto? Bianco o nero, nessuno.
2 - IL FATTORE ISRAELE CHE SEGÒ HILLARY E L'ARRIVO DI EMANUEL
Ora è lampante e lampeggiante l'appoggio massiccio dei poteri forti della finanza Usa. In particolare della grande finanza ebraica di New York, che è quella che ha davvero segato le ambizioni da "Lei non sa chi sono io!" della signora Hillary Clinton, rea di essere troppo indipendente dagli interessi di Israele.
Tant'è che la prima scelta del neo eletto Obama è stato Rahm Emanuel, un capo di gabinetto non solo ebreo ma ebreo-militante, figlio di un membro della causa Laganà, il gruppo terroristico degli ultrà comandati da Begin, autore dell'attentato all'Hotel King David di Gerusalemme in cui morirono una cinquantina di moglie e figli degli ufficiali britannici di stanza in Palestina. Un ‘simpatico' messaggio per dire a Londra: dovete lasciare la nostra terra.
A proposito di Emanuel. È un tipino fino - ha svelato ieri l'Abc news - che era nel consiglio di amministrazione della Freddie Mac, il famigerato istituto di mutui, un'impresa privata con supporto governativo, coinvolto in uno scandalo per aver falsificato i rendimenti ingannando gli investitori tra il 2000 e il 2002, quindi salvata e commissariata da Bush.
3 - IL ‘MAVERICK" DI MCCAIN, L'INESPERTO OBAMA
Basta fare un giro per i palazzi che contano di Washington per percepire la grande soddisfazione del trionfo di Obama. John McCain era ed è considerato un "maverick", un tipo "bizzarro" ed anche pericoloso perché veramente indipendente. L'inesperto Obama è invece la ciliegina sulla torta per chi controlla/gestisce le scelte internazionali dell'unica e sola superpotenza - la Cina, se mai raggiungerà il livello Usa, lo sarà fra un secolo, mentre la Russia è ridotta a una cricca di affaristi con tendenza al ricatto per ottenere qualche rublo in più dalla vendita di gas e petrolio.
4 - SOTTO LA SPINA DORSALE DEI POTERI FORTI
Ma chi rappresenta il vero establishment ("the backbones", "la spina dorsale" del Paese, come dicono gli analisti americani)? La finanza e le banche, alcuni settori dell'industria dell'energia e delle nuove tecnologie (tutti settori vicini al potentissimo, con tanto di grembiulino, John D. Podesta), un pezzo della Cia e soprattutto gli ambienti intorno all'Fbi che sono i veri sacerdoti degli interessi Usa.
Ebbene, questo brillante ‘formazione' vede in Obama una grande opportunità per conquistare all'Impero aree di influenza dello scacchiere mondiale che la disastrosa presidenza di Bush aveva seriamente compromesso. In primis, i mercati emergenti dell'Africa, dell'Asia e di gran parte dell'Europa occidentale.
5 - BARACK E BURATTINI (E BURATTINAI)
Insomma, care anime belle d'Italia, l'"alba del nuovo giorno", il "dream re-loaded di Martin Luther King", il ‘Messia che scende in terra per portare pace e amore agli uomini di buona volontà' (vedi subito le dichiarazioni scodellate un'ora dopo il voto contro l'Iran per l'eventuale costruzione della bomba atomica), il "cambiamento", se ci sarà, sarà solo di facciata: questi comandano e continueranno a comandare anche se faranno un po' più di ammuina verso quel baraccone inutile dell'Onu. Quello che è certo è che la politica internazionale americana sarà notevolmente rafforzata. Le differenze con gli anni di Bush ci saranno soprattutto in politica interna.
2 - LE VECCHIE CAMBIALI DI BARACK
Lucia Annunziata per La Stampa
Ieri si è dimesso il Presidente di una delle più potenti Commissioni di Washington, il Senate Appropriations Committee, che vigila sullo stanziamento di miliardi di fondi ordinari e straordinari.
Il senatore Robert Byrd, che ha 91 anni, ha preso, dopo 50 anni, la storica decisione delle dimissioni in omaggio al «nuovo giorno che scende su Washington». L'episodio è raccontato con malcelata ironia dai giornalisti della Capitale, visto che la rimozione «spontanea» del senatore, è il primo segnale di un vasto giro di appetiti e di un ampio valzer di poltrone che la stravittoria di Obama ha innescato a Washington e dentro le file del partito democratico.
Appetiti che appaiono tali a tutte le latitudini e in tutti i sistemi politici: se Byrd ha infatti saputo difendere la sua poltrona per 50 anni a dispetto di tutto («C'è una stagione per ogni cosa», ha detto lasciando il suo posto), una doppia dose di involontaria ironia vuole che il suo successore abbia «solo» 84 anni: è il democratico delle Hawaii Daniel Inouye, che per questo trasferimento lascia l'altrettanto potente posizione della Presidenza della Commissione Commercio, Scienza e Trasporti. Al suo posto sarà nominato il senatore John Davison Rockefeller che lascerà la Presidenza della Commissione Intelligence alla senatrice Dianne Feinstein, democratica della California.
Al Congresso, i valzer degli incarichi mostrano intanto come la élite dell'élite del partito democratico si prepari a intascare l'enorme vittoria che ha riportato, insieme a Obama. I democratici tornano infatti al potere a Washington con un peso elettorale che fa impallidire persino l'epoca di Bill Clinton.
Ma se queste notizie che arrivano dai corridoi di Washington sembrano contraddittorie, rispetto alla magia che emana la trascinante figura di Obama, in realtà dimostrano che il presidente neoeletto e il suo partito sono già scesi dall'Olimpo, e che la macchina di poteri, ambizioni e lotte interne che è l'anima di ogni governo, a cominciare da quello della più grande nazione del mondo, ha già acceso i motori.
L'atterraggio della navicella spaziale elettorale è stato ben raccontato, tre giorni fa, dalle impietose telecamere durante i 20 minuti della prima conferenza stampa del Presidente, dietro a cui si è composto (involontariamente?) un gruppo che ricordava in maniera inquietante la «Ronda di notte» di Rembrandt.
Il primo, ben in vista era Rahm Emanuel, al lato di Obama c'era l'ex Segretario del Tesoro Robert Rubin, e dietro Obama l'ex presidente della Federal Reserve Paul Volcker. Brevemente inquadrato, è comparso anche un altro ex Segretario del Tesoro, Lawrence Summers. Tutti ex clintoniani ed esponenti di quell'iperliberismo che negli Anni Novanta venne sdoganato a sinistra dalla terza via di Clinton. Tornano tutti loro, dunque?
Ma se si guardava bene al gruppo, vi apparivano anche radicali come David Bonior, ex congressman del Michigan, uomo dei sindacati, che aspira oggi, si dice, proprio all'incarico di ministro del Lavoro; e Robert Reich, ex clintoniano, che nel recente dibattito sul salvataggio di Wall Street si è distinto per le sue critiche alla grande finanza.
Tutto questo forma - sia pur lentamente - una prima più realistica immagine della nuova amministrazione Usa. Per quanto lo si ami come un Mosè, Obama è un uomo politico in carne e ossa, che è arrivato dov'è grazie a una grande dose di realismo e pragmatismo. Colore della pelle o meno Obama non sarebbe dov'è oggi se non avesse anche fatto molti patti e firmato molte cambiali: con il suo partito, una vasta base di vari elettorati, nonché molti interessi economici che lo hanno magnificamente sostenuto. Le varie componenti di questo mondo democratico, premiato e rafforzato come si diceva proprio dalla vittoria di Obama, costituiscono nella pratica una realtà molto meno nuova, e soprattutto molto meno «cambiabile» di quel che Obama ha promesso e promette.
Queste elezioni hanno fatto vincere infatti i democratici in aree dove da anni non avevano nemmeno rappresentanti. Le vittorie hanno portato a Washington i personaggi più diversi fra loro: da veri conservatori che hanno sconfitto i repubblicani in zone come la Virginia, ai rappresentanti delle molte organizzazioni di Comunità (Obama è il primo presidente che ha iniziato la propria carriera come Community Organizer). Se l'establishment, dunque, come si diceva, si ridistribuisce tranquillamente le carte, queste altre realtà già scalpitano, come si può leggere su The Nation o sul New York Observer.
Riuscirà Obama, e come, a tenere insieme tutti questi elettorati? Come si ricorderà, Obama ha pagato nella Convention il suo prezzo alla sconfitta di Hillary e alle paure dell'establishment del partito, di fatto abbassando la sua polemica sul rinnovamento interno, e allargando la sua piattaforma includendo quasi tutte le richieste sociali. Oggi paga questi patti richiamando al lavoro molte delle figure del partito, omaggiando i vecchi senatori, riportando in auge i migliori dell'epoca clintoniana, e pagando persino un omaggio all'appoggio decisivo datogli dai Kennedy.
Quello che si profila è uno schieramento efficace e competente, ma, appunto, per nulla «rinnovato» e soprattutto in totale continuità col passato. E' presto ancora, certo. Ma fin d'ora queste scelte ci fanno dire che mai forse come nel caso di Obama è necessario innamorarsi poco della parole, e badare molto alla sostanza.
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4 Commenti:
Cinicaccio!
Che ti devo dire? E' bello vivere di speranze, ma purtroppo bisogna anche vedere la realtà, non credi? ;-)
Secondo me la speranza che Obama ha risvegliato resta come valore in se, anche se poi non manterrá tutte le promesse! Chettidevodire, secondo me milioni di persone per la prima volta hanno provato un brivido per un evento politico: ti pare poco????
Doppia, forse mi sono espresso male. Sai che non sono cinico come potrebbe sembrare qui; ho aspettato le sette di mattina per ascoltare entrambi i discorsi dei candidati e vivere, da italiano, qualcosa di diverso, di forte, di significativo. Ma forse è soltanto il timore di svegliarsi un giorno delusi, e forse non dall'uomo, ma dal sistema che potrebbe (e spero di no) imbrigliarlo.
Ciao
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