giovedì 24 agosto 2006

I paradossi della globalizzazione

Thomas Friedman è un giornalista del New York Times che apprezzo da tempo e del quale sto leggendo l’ultima fatica editoriale, “Il mondo è piatto”. L’assunto che guida l’opera non è nuovo, per quanto non banale: la distanza fisica è un concetto ormai irrilevante, le possibilità per tutti sono enormemente maggiori, le difficoltà di comprensione delle relazioni sono aumentate.
Il mondo dell’economia ci offre però casi paradossali di globalizzazione.
Una società indiana di forniture in outsourcing, la ICICI OneSource, aprirà presto i battenti di un proprio call center (il secondo) nell’Irlanda del Nord, assumendo per la bisogna 1000 persone: il suo intento è di trovare una diversificazione europea al proprio business, dopo aver già piantato le tende a New York, nel Nevada e in New Jersey. A tal fine intenderebbe sviluppare l’attività in altri due paesi (non ancora menzionati) e costruire nuovi uffici a Belfast e Londonderry.
Allo stesso modo si muove Tata Consultancy Services, il maggiore player indiano nel campo dell’outsourcing, che la scorsa primavera si è insediata nel Regno Unito, costituendo una affiliata per i servizi da rendere a compagnie di assicurazione.
Metà dei clienti della ICICI, che comprendono banche, emittenti di carte di credito e società di servizi sanitari, sono inglesi. L’apertura di call canter in Irlanda è la risposta alle richieste dei clienti di avere una forza lavoro sul posto con capacità e caratteristiche “local” più adatte a un servizio di recupero crediti. ICICI tratterrà una percentuale dei crediti recuperati.

Riassumo per esigenze di semplicità: clienti inglesi affidano a società e managers indiani servizi per svolgere i quali essi (i managers indiani) costituiscono società e assumono impiegati in Irlanda per stanare debitori inglesi. È fantastico.

2 Commenti:

Blogger doppiafila ha detto...

Curiosa parola, "globalizzazione" - lascia intendere che questo fenomeno sia relativo a tutto il pianeta. Pensa invece a quante zone (a partire dall'Africa) ne siano totalmente escluse...

3:03 PM  
Blogger torchio ha detto...

Nell'accezione usuale che si dà a questo termine, infatti, si partiva da una condizione di base per cui era non globalizzato tutto ciò che veniva da Europa e USA. Soltanto aver allargato la mappa geografica del mondo ha giustificato l'abuso del termine. Quando anche in Africa (come accennavi tu), in Polinesia o in Antartide si stabiliranno insediamenti produttivi, vedrai che qualche bravo sociologo conierà un termine nuovo ("totalizzazione", "frullatizzazione", ecc.).

4:56 PM  

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