I super-fondi governativi
Il potere dei fondi governativi, ovvero dei concetti del private equity applicato ai soldi gestiti dai governi, sta aumentando. Le cronache finanziarie non fanno che informarci dello shopping sfrenato che i fondi arabi, ma non solo, praticano. Poco conosciuto, ma potentissimo è, per esempio, il fondo pensioni del governo norvegese (qui, un vecchio articolo de Il Sole 24 ore). Pensate ai soldi della vostra pensione amministrati e gestiti in modo impeccabile, tale da conquistare vere e proprie vette di profitti: in Norvegia, grazie al petrolio e a ogni ben di Dio di energie che madre natura ha voluto loro fornire, questa è la realtà.
Qui di seguito, trovate un interessante articolo di Francesco Spini, tratto da La Stampa di oggi.
“Altro che hedge fund. Altro che private equity. Sono rimasti silenti per quasi 50 anni. Ora, forti dei loro tremila miliardi di dollari di attivi, i fondi sovrani - i sovereign wealth fund, come li chiamano a Wall Street e dintorni - hanno iniziato a giocare la loro partita negli equilibri della finanza mondiale, come dimostra l’investimento da 7,5 miliardi di dollari di Abu Dhabi in Citigroup.
Partono da lontano, i fondi governativi. È il 1953 quando il Kuwait, al tempo ancora protettorato britannico, dà un tocco di creatività alla propria florida finanza. Il dilemma degli emiri, al tempo, era frutto di lungimiranza: il petrolio porta più dollari di quanto il Paese abbia bisogno. Quindi perché non farli fruttare costituendo un fondo? Nasce così il Kuwait Investment Authority. Oggi una ventina di paesi hanno un fondo sovrano, alimentato con fondi statali.
Ecco i comuni denominatori: sono appannaggio dei paesi produttori di petrolio e delle economie emergenti caratterizzate da un generoso avanzo commerciale. Per tutti insomma vale lo stesso principio: investire il surplus pubblico, i soldi in eccesso, in attività che facciano fruttare tale liquidità in vista dei possibili periodi di magra. Per quando il petrolio finirà la sua corsa. E per quando il vento dell’economia avrà cambiato direzione.
Ad avere un fondo sovrano sono per lo più i paesi produttori di greggio: il più grande è quello di Abu Dhabi,con circa 900 miliardi di dollari di patrimonio.
Quindi troviamo l’Arabia Saudita con diversi portafogli, il Brunei, l’Alaska, perfino la Norvegia. E poi, sul fronte dei Paesi emergenti, svettano Cina, Singapore, Russia. Se, come segnala il dipartimento di ricerca del Fondo Monetario Internazionale, negli Anni 90 la loro potenza di fuoco non superava i 500 miliardi di dollari, entro il 2012 potrebbe raggiungere i 10 mila miliardi, poco meno dei 12 mila miliardi del pil Usa. Merito di un petrolio al galoppo e delle economie del Far East in continua ascesa.
E se fino a qualche anno fa gli investimenti di questi fondi erano principalmente valute estere e metalli preziosi, ora vanno diversificando. Scopo: guadagnare di più, cogliendo le occasioni che anche la crisi legata ai mutui subprime sta facendo emergere in giro per il mondo, in specie negli Stati Uniti.
Attraverso i fondi, dunque, stati come la Cina - che ha la maggiore esposizione sul debito Usa, accanto al Giappone - stanno comprando fette rilevanti della stessa economia d’Oltreoceano. A maggio fece impressione l’acquisto da parte di un fondo cinese, sempre di riferimento governativo, del 10% di Blackstone, il colosso Usa del private equity. A ottobre è stata la volta di Bearn Stearns, finita nel mirino di un altra finanziaria statale, che si è accaparrata il 6% della banca. Ieri l’ultimo colpo porta la firma dell’Abu Dhabi Investment Authority (il cui fondo gemello Mubadala aveva rilevato il 7,5% di Carlyle) con la sua mossa su Citi. E che lancia i «sovrani» nel ruolo di ciambella di salvataggio in un mercato in crisi di liquidità.
Anche l’Italia, per altri motivi, da tempo è finita nel mirino degli attenti investitori sovrani, specie arabi. Sempre ad Abu Dhabi è finito il 5% di una perla del «made in Italy» come Ferrari e il 35% di Piaggio Aero. In attesa che si concretizzi l’auspicio di Tarak Ben Ammar, rappresentante dei soci internazionali di Piazzetta Cuccia: l’ingresso di un fondo sovrano arabo nel tempio della finanza italiana, Mediobanca.”