giovedì 31 agosto 2006

In Bahrain il droghiere costa sempre di più

Persino negli Emirati Arabi, dove il lusso è la norma e i soldi da buttare parecchi, qualcuno comincia a farsi i conti in tasca e scopre che in Bahrain i prezzi dal droghiere aumentano. Il dollaro debole, il petrolio alto e i conflitti in Medio Oriente fanno schizzare il prezzo di frutta, verdura, zucchero, prodotti da forno, ecc.
Ma, abitanti del Bahrain, non preoccupatevi perchè - come dice un portavoce - il governo ha tutti mezzi per minimizzare l'impatto dell'aumento dei prezzi sui comnsumatori.
I governi sono tutti uguali.

Abuso della bambola gonfiabile

Un partecipante alla Sex Dolls Rafting Tournament, che si è tenuta come ogni anno a San Pietroburgo è stato squalificato per “abuso sessuale del dispositivo di gara”. La corsa consiste nel nuotare per 1200 metri, portandosi dietro una bambola gonfiabile (e gonfiata). È intuitiva la difficoltà nell’evitare che vento e acqua (anche grazie al materiale con cui è costruita) la facciano sfuggire dalla presa dei nuotatori. I giudici hanno però beccato uno dei partecipanti assumere in acqua una posizione sospetta e l’hanno invitato ad uscire dall’acqua. E' apparso allora che la bambola riportava evidenti segni di “attività sessuale” da parte del concorrente. Il nuotatore è stato squalificato per abuso dello strumento di gara.
Io però mi sono divertito a leggere questa notizia.

I cinesi sbattono contro il muro indiano

La storia è la solita. I cinesi cercano di investire fuori dai propri confini (ampi), possibilmente in settori strategici. È il caso dei porti indiani. Il governo di Delhi ha però risposto picche: la HPH (Hutchison Port Holdings) di Hong Kong, il più grande operatore portuale al mondo, si è vista chiudere le porte in faccia. Eppure era in ballo un doppio affare per la costruzione di terminals per container a Mumbai (Bombay) e a Chennai. La storia sembra riprendere quanto già avvenuto a New York e Philadelphia dove la Dubai Ports, che aveva intenzione di acquisire la gestione dei relativi porti, ha dovuto cedere alle prese di posizione USA. Anche in India, guarda il caso, si è parlato di “security concerns”.
Questo benedetto mito della globalizzazione non sempre è vincente.

Il succo di arancia per capire l’economia

Ricordate il film “Una poltrona per due” con Eddie Murphy e Dan Aykroyd, dove i due protagonisti mercificavano pancetta e succo d’arancia alla borsa merci di New York? Ho sempre considerato quel film come una ottima e ben riuscita parodia del mondo reale. Scopro invece che le previsioni sul prezzo futuro del succo d’arancia sono una cosa seria e che il suo studio comporta un’analisi dei maggiori aspetti dell’economia. In quest’intervista Kevin Kerr, trader alla Global Resources, illustra come il prezzo del succo d’arancia sia strettamente collegato al prezzo delle fonti di energia (il trasporto e la promozione del prodotto ne richiedono), al tempo atmosferico (gli uragani distruggono le piantagioni e i prezzi salgono), allo sviluppo immobiliare (più palazzi, meno aranceti, in sintesi estrema). Insomma per il prossimo Natale, al più tardi per gennaio 2007, si prevede un aumento del prezzo del succo d’arancia di almeno il 10%.

mercoledì 30 agosto 2006

I Beatles in tribunale

Non finisce l’annosissima telenovela giudiziaria tra Beatles (ed eredi) e Apple (la casa discografica da loro fondata) e la EMI, una delle grandi corporations della musica. Di fronte la Supreme Court Justice di New York i Fab Four accusano la EMI di averli privati di milioni in royalties nel corso degli anni, gestendo la contabilità in modo quantomeno artistico, nascondendo i reali profitti e vendendo clandestinamente copie delle registrazioni del gruppo. I propositi di pace e amore di John Lennon giacciono nella tomba con lui.

L'alluminio è russo

Prendete una dose di economia selvaggia, un giovane senza scrupoli, il commercio di materie prime, agitate bene e servite con un pizzico di internazionalità. Otterrete l'ultima conquista dell'economia russa, la scalata al primo posto mondiale nella produzione di alluminio.
La Rusal, già numero uno in Russia, si è fusa con il numero due Sual e con la società svizzera Glencore per creare un vero colosso, a capo del quale troviamo un trentottenne, Oleg Deripaska.
Dimentico qualcosa? Ah sì, la benedizione di Putin e il rinvio della quotazione alla Borsa di Londra a non prima di tre anni. Mica vorremmo avere anche una dose di trasparenza? Il cocktail non viene bene, altrimenti.

La BBC investe sul futuro

La BBC, sempre all'avangardia per scelte editoriali e tecnologiche e una delle prime news company a utilizzare il proprio sito web per un'efficace interelazione con i propri lettori, ha inaugurato la nuova versione di NewsRound, il sito di notizie appositamente studiato per un target particolare: i bambini. Mentre il precedente sito era studiato per ragazzini fino a 12 anni, sembra che la fascia di età alla quale NewsRound intende ora rivolgersi scenda di un paio di anni. Certamente è un investimento non indifferente: chissà se questi piccoli lettori di oggi saranno i maggiori fruitori di notizie domani sulle pagine dello stesso sito. Intanto non può non essere sottolineato il coraggio editoriale di rompere gli schemi e fare, come spesso accade al broadcaster inglese, un passo molto lungo verso il futuro sfruttando ogni possibilità del mezzo tecnologico. Complimenti!

La musica sarà gratuita?

Il mondo del “downloading” dei brani musicali sfonda barriere ritenute finora impenetrabili. La SpiralFrog, una “online music company”, ha siglato con Vivendi Universal un contratto per rendere disponibile il catalogo di quest’ultima per il download gratuito. La SpiralFrog prevede di guadagnare dagli annunci che saranno presenti sul sito. La stessa Vivendi Universal sembra aver accettato una partecipazione gli utili provenienti da questa pubblicità. Siamo davanti a un passo ardito, quello del non ritorno. Il futuro della musica non può che essere il downloading o lo streaming. La crescita che pare infinita dei lettori mp3 (60 milioni di pezzi soltanto nel 2005 e 420 milioni di brani scaricati), una fruizione sempre più parcellizzata e una presenza sempre più ingombrante di tutti coloro che cercano di fare le scarpe ad iTunes di Apple sembrano portare alle estreme conseguenze intercettate da SpiralFrog: la gratuità.

La patente "verde"

Greenpeace ha messo sul banco degli esami le principali società produttrici di componenti e prodotti elettronici e ha dato loro un voto, sulla base di criteri numerosi criteri riconducibili fondamentalmente alla riduzione di sostanze pericolose nel processo produttivo e al ritiro e smaltimento intelligente dei prodotti obsoleti. Non mancano le sorprese nella classifica stilata da Greenpeace: prime a pari merito risultano essere Nokia e Dell. Sfilano poi le altre, fino all'ultimo posto occupato da Lenovo. Sorprende la quart'ultima posizione di Apple, prima in design e innovazione e poco attenta - almeno secondo l'associazione ambientalista - agli aspetti ambientali della propria attività.
Qui la presentazione del progetto e tutti i collegamenti ai documenti più interessanti.

L'outsourcing globalizzato non funziona più?

La Volkswagen ha licenziato 1800 operai in Brasile e prevede di attuare un piano di ristrutturazione che le consenta di “eliminare” ben la metà della propria forza lavoro nel paese sudamericano. Siamo davanti a una fase di “reflusso” o alla ricerca invece di paesi in grado di offrire forza lavoro ancora più economica?

martedì 29 agosto 2006

Finalmente arriva anche in Giappone

Tutti abbiamo un’idea più o meno suggestiva del Giappone quale paese della tecnologia spinta. Ed è generalmente vero. Accade però che anche nel Sol Levante abbiano qualcosa da imparare dagli europei, e dagli italiani in particolare. Per quanto possa sembrare strano, la portabilità del numero del proprio cellulare è ancora un tabù: fino al prossimo 24 ottobre, quando finalmente anche i telefonino-dipendenti di questo paese potranno cambiare liberamente gestore e scegliere quello che promette tariffe e condizioni migliori.
Tutta da rifare la strategia dei gestori nell’approccio al mercato: c’è chi punta all’offerta di nuovissimi modelli e all’ulteriore sviluppo dei servizi (quelli con il maggior numero di utenti) e chi invece punterà con decisione anche sulle tariffe (è il caso di chi parte da dietro e deve rimontare).
Certamente sarà una guerra che non lascerà feriti sul campo.

Olmert apre il portafoglio, ma non basta

La guerra con gli hezbollah nel Libano meridionale non è finita come gli Israeliani si aspettavano. Una guerra iniziata male e finita peggio per quello che è considerato l’esercito più organizzato del mondo e che in questa occasione non ha certo dimostrato di essere in grado di gestire una situazione pur difficile. Ma adesso c’è il dopo-guerra. E anche i giornali di casa non fanno sconti al governo. L’Haaretz, uno dei quotidiani di punta in Israele, sostiene che nonostante le commissioni d’inchiesta, le dichiarazioni e le promesse, addirittura “stravaganti”, la politica post-guerra è una semplice cosmesi. Olmert ha promesso soldi alla regione settentrionale del proprio stato, imitando quanto già posto in essere da Nasrallah nelle zone libanesi confinanti. Non ha però analizzato nè tantomeno provato a spiegare al paese che cosa realmente non funzionato. Indecisione? Guerre intestine tra i militari? Sottovalutazione del nemico? Sembra quasi che la guerra abbia rappresentato l’occasione “giusta” per trasformare il futuro della regione, quasi che il paese non aspettasse altro. La domanda principale alla quale rispondere è: sono state create le condizioni necessarie e sufficienti per garantire una vita normale alla gente del Nord? Non c’è il rischio che le grosse somme che si stanno stanziando si riveleranno investimenti pericolosi, fin tanto che una stabilità politica e una sicurezza effettiva non conquisteranno la regione? Le falle del governo riflettono quelle di una società impegnata a guardare la superficie senza scrutare la sostanza delle cose.
Una volta di più si è costretti a riflettere sull'inutile blaterare (sì, anche questo post, forse) su una guerra inutile.

lunedì 28 agosto 2006

Storie di petrolio africano

Venti di nazionalizzazione del petrolio in Chad. Ieri infatti il presidente dello Stato africano ha imposto a due colossi come Chevron e Petronas di prendere le loro cose e abbandonare il paese. Un po’ come la fine di una storia d’amore. L’accusa finale? Una storia di tasse non pagate.
Le compagnie petrolifere avevano portato soldi fin dal 2003, consentendo tassi di crescita dell’economia chadiana anche del 20%. Per controllare l’attività di estrazione e per evitare abusi nella distribuzione dei proventi generati dal petrolio, era stato istituito – con l’aiuto della World Bank – anche un comitato di controllo con l’intento di destinare tali ricavi a progetti riguardanti la salute pubblica, l’istruzione e infrastrutture primarie. Le funzioni e le attività di questo comitato sono state boicottate fin dall’inizio dall’azione congiunta della Exxon e del governo.
Chevron e Petronas facevano parte di un consorzio guidato proprio da Exxon, che appare non sfiorata dal provvedimento, almeno per ora.
Dall’ottobre 2003 al dicembre 2005, il consorzio ha estratto ed esportato 133 milioni di barili, consentendo al governo chadiano di intascare il 12,5% su ogni barile.

Donne da sposare


Interessante elenco di donne da sposare dal sito del New York Times. Certo, non proprio "acchiappi" facili; intanto però c'è quanto serve per iniziare ad avere un'idea sul da farsi.

Il software di Google

Come ampiamente prevedibile, Google sta progressivamente virando la propria attività verso il Business Software market. Dopo aver stupito il mondo dei motori di ricerca e quello finanziario, ora è la volta dell'attacco frontale al mondo di Microsoft. Google ha infatti creato una piattaforma sulla quale far girare alcune programmi alla base dell'attività quotidiana di ognuno di noi, come un word processor e un foglio di calcolo, insieme con un programma di gestione della posta elettronica, un'agenda e l'instant messaging. Non è un caso che che tutto ciò arrivi a pochi mesi dalla più importante release della suite Office di Microsoft. L'aspetto più importante di tutto ciò è che i programmi saranno web-based, ovvero non avremo necessità di installare nulla sul nostro pc, salvo ovviamente un browser che ci permetta di navigare.
I numeri dell'azienda Google sono da capogiro: ricavi nel trimestre chiuso a giugno per 2456 milioni di dollari con profitti netti per 721 milioni (a fronte di un 2005 - dato annuale - con profitti netti per 1465 milioni). L'era di Google non ha ancora raggiunto il suo picco.

Microsoft sceglie Toshiba

La produzione di Zune, l'anti-Ipod di Microsoft, è stata affidata a Toshiba. L'azienda giapponese si è aggiudicata una (s)commessa importante, appoggiando gli sforzi dell'azienda di Bill Gates. Il nuovo lettore vedrà quindi una paternità di software riconosciuta a Microsoft, ma un corpo fornito da Toshiba, che già produce un prodotto simile, il Gigabeat. Ipotesi di prezzo: 300 dollari. Immagino che in Europa ci sarà, come al solito, un sovraprezzo. La santa alleanza ai due lati del Pacifico dovrebbe erodere le quote di mercato dell'Ipod, che soltanto nel terzo trimestre fiscale Apple - chiuso al 30 giugno - ha consegnato oltre 8 milioni di pezzi con un incremento annuale del 32%.
Insomma zio Bill, tra una beneficenza e l'altra, continua a inseguire i sogni tecnologici di Steve Jobs.

venerdì 25 agosto 2006

Ryanair cita per danni il governo inglese

Come era fin troppo facilmente prevedibile, dopo la grande paura comincia il valzer delle richieste di risarcimento al governo britannico per le perdite subite a causa delle nuove rigide procedure imposte per l'imbarco del bagaglio a mano.
In particolare, Ryanair chiede 3.3 milioni di sterline da devolvere eventualmente in beneficenza. Un portavoce del Ministero dei Trasporti dichiara che "la base della richiesta di Ryanair è completamente infondata".

Pagare la RAI per vedere Sky

Adesso capisco. Pago il canone alla Rai per potermi sorbire sul sito della stessa (qui a destra) un bel banner pubblicitario di Sky.
Tutto è chiaro ora: Murdoch vuole stringere accordi con Tronchetti (possibilmente stringendo il collo del bel Marco), comprarsi la RAI e visto che c'è anche Briatore ed Apicella che possono sempre servire per le donne e per la musica.

Il diavolo e l’acquasanta

Se non l’avessi letto, farei fatica a crederci.
In Cina, ormai fucina di ogni novità significativa nel mondo (a proposito, prima o poi, questi cinesi – o magari gli indiani – riusciranno a risolvere anche i conflitti in Medio Oriente, hai visto mai), l’onnipresente e onnipotente Partito Comunista ha ufficialmente aperto una propria sezione all’interno del tempio del capitalismo USA: un supermercato Wal-Mart.
Contestualmente alla sezione di partito non mancherà una rappresentanza sindacale dei lavoratori.
Sorpresi perché il colosso nordamericano, cha può vantare ricavi totali che superano i 315 miliardi di dollari Usa e che conta nella sola Cina 60 punti vendita in 30 città, con circa 30 mila dipendenti, convivrà sotto lo stesso tetto con la teorizzazione del suo opposto? Immaginate problemi per una società che si è sempre distinta per la sua politica antisindacale?
Nulla di tutto questo. I soldi guadagnati faranno felici sia il diavolo sia l’acquasanta (ammesso che riusciate a distinguerla). Chi ci rimetterà – ci si può scommettere fin da ora – saranno gli impiegati cinesi.

Non ci resta che piangere

Daniel Altman, da uno dei blog della versione on line dell'International Herald Tribune, mette in guardia gli USA. Non siamo più in grado di produrre beni - afferma il columnist - che ormai, soprattutto nell'industria pesante, sono appannaggio di società straniere più agguerrite e con maggiore massa critica. Le uniche possibilità per il futuro sono legate all'industria con altissima tecnologia e ai servizi di vendita.
Buona fortuna, USA!

Ancora Chavez, il mercante

Pochi giorni accennavo agli affari unti del Venezuela con gli USA, i nemici di sempre, ad ascoltare anche soltanto uno dei discorsi del presidente venezuelano. Chavez, piuttosto, continua a dimostrarsi un ottimo mercante del prodotto più importante che il suo paese può offrire. Dall’alto della quinta posizione nella classifica degli esportatori di petrolio, negozia con la Russia di Putin lo scambio petrolio/armi e con la Cina la fornitura di servizi e infrastrutture, sempre in cambio di petrolio. A favore della Cina, il Venezuela si impegna ad aumentare l’esportazione di greggio fino a raggiungere la quota di un milione di barili al giorno entro il 2012.
Il pezzo di Rainews, che mostra Chavez e Hu Jintao brindare soddisfatti, fa però menzione anche delle perplessità logistiche degli analisti che rilevano l’obiettiva difficoltà del trasporto del petrolio attraverso il Pacifico.
Sono sicuro che il vulcanico Chavez sarà in grado di ovviare anche a questo.

State tranquilli: di petrolio ce n’è tanto

Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’ENI, ci tranquillizza tutti: almeno per 70-100 anni non dovremo preoccuparci della carenza di petrolio. Non c’è niente di cui agitarsi: i prezzi bassi degli anni passati hanno reso poco conveniente sviluppare l’attività di ricerca. E' per questo che i prezzi sono saliti.

Voglio dire subito che di petrolio nel mondo ce n’è. Ed è anche tanto. Il nostro pianeta dispone di riserve cosiddette ‘certe’ per oltre mille miliardi di barili, più di tutto il petrolio che è stato consumato dall’inizio dell’era petrolifera nella seconda metà dell’800 fino ad oggi. Alle riserve certe dobbiamo aggiungere le riserve ‘probabili’ e quelle ‘possibili’. In totale si stima che ci siano sotto terra almeno altri 5 mila miliardi di barili.

Alla faccia! Deve pertanto ritenersi che le centinaia di studi effettuati recentemente sull’argomento siano basati su mere chiacchiere. Spendiamo soldi e spandiamo petrolio, dunque. Scaroni si merita proprio le sue stock option plurimilionarie.

giovedì 24 agosto 2006

I paradossi della globalizzazione

Thomas Friedman è un giornalista del New York Times che apprezzo da tempo e del quale sto leggendo l’ultima fatica editoriale, “Il mondo è piatto”. L’assunto che guida l’opera non è nuovo, per quanto non banale: la distanza fisica è un concetto ormai irrilevante, le possibilità per tutti sono enormemente maggiori, le difficoltà di comprensione delle relazioni sono aumentate.
Il mondo dell’economia ci offre però casi paradossali di globalizzazione.
Una società indiana di forniture in outsourcing, la ICICI OneSource, aprirà presto i battenti di un proprio call center (il secondo) nell’Irlanda del Nord, assumendo per la bisogna 1000 persone: il suo intento è di trovare una diversificazione europea al proprio business, dopo aver già piantato le tende a New York, nel Nevada e in New Jersey. A tal fine intenderebbe sviluppare l’attività in altri due paesi (non ancora menzionati) e costruire nuovi uffici a Belfast e Londonderry.
Allo stesso modo si muove Tata Consultancy Services, il maggiore player indiano nel campo dell’outsourcing, che la scorsa primavera si è insediata nel Regno Unito, costituendo una affiliata per i servizi da rendere a compagnie di assicurazione.
Metà dei clienti della ICICI, che comprendono banche, emittenti di carte di credito e società di servizi sanitari, sono inglesi. L’apertura di call canter in Irlanda è la risposta alle richieste dei clienti di avere una forza lavoro sul posto con capacità e caratteristiche “local” più adatte a un servizio di recupero crediti. ICICI tratterrà una percentuale dei crediti recuperati.

Riassumo per esigenze di semplicità: clienti inglesi affidano a società e managers indiani servizi per svolgere i quali essi (i managers indiani) costituiscono società e assumono impiegati in Irlanda per stanare debitori inglesi. È fantastico.

Apple paga, ma ha sempre ragione

Apple accetta di chiudere con una transazione una causa che Creative aveva intentato per violazione di brevetto. Sembra che Apple avesse indebitamente sfruttato nei propri Ipod alcune tecnologie già brevettate da Creative.
Particolarmente sprezzante e arrogante la frase di Steve Jobs: "Creative è stata molto fortunata nell'ottenere così presto la registrazione di questo brevetto".
Nulla più di briciole - almeno per Apple - è la somma che sarà versata a Creative: 100 milioni di dollari USA. In più, Apple avrà in licenza tale tecnologia. E' bene ricordare che l'importo riconosciuto a Creative costituisce soltanto poco più che la quinta parte dei profitti netti trimestrali (472 milioni) della società di Jobs. Il titolo ha peso soltanto lo 0,46%.
I potenti non cascano mai.

Nestlè non si ferma

La multinazionale svizzera, proprietaria di molte marchi famosi (Alemagna, Nesquik, Buitoni, Perugina, San Pellegrino soltanto per citarne alcuni) e dei copiosissimi profitti che ne derivano, conferma le ottime previsioni, festeggiando l'aumento di utili per il primo semestre del 2006. Qui le cifre fondamentali esposte dal Sole.
Sottolinerei l'ultima parte:

"In un'intervista a Cnbc Europe l'ad del gruppo Peter Brabeck-Letmathe ha rilevato di non aspettarsi importanti aumenti delle materie prime per il 2007"

E' perfettamente risaputo che le materie prime tendono ad aumentare (vedere mio post sotto sul caffè); è altresì riconosciuta l'abilità delle grandi multinazionali di ribaltare sul consumatore finale tali aumenti. Nessuna sorpresa quindi se gli utili cadono a pioggia. A niente servono le numerose iniziative di boicottaggio, come quelle della RIBN e di Greenpeace, rivolte a intaccare il business della Nestlè.

La piccola imprenditoria

A Trento non c'è la crisi economica che attanaglia altre parti del nostro paese. Arrangiarsi però non è peccato. Uno studente ha messo a frutto gli insegnamenti principali dell'economia e i cicli fondamentali di ogni processo (produzione, distribuzione e vendita) facendo leva sull'offerta scarsa della merce venduta e sull'alta domanda sostenuta dai propri compagni di corso.
Immagino che abbia anche saputo mettere a frutto i più efficaci sistemi di pagamento: contanti e sull'unghia.

mercoledì 23 agosto 2006

Il caffè ci rende nervosi

Il caffè costa tanto. Non è una semplice considerazione da bar, ma l’osservazione delle quotazioni di una delle commodity più scambiate al mondo.
La qualità robusta, la meno pregiata in confronto alla qualità arabica, ma anche la più usata per la preparazione del caffè istantaneo (molto diffuso nel mondo, molto meno in Italia) ha infatto raggiunto il prezzo più alto negli ultimi sette anni alla Borsa delle merci di Londra: 1.668 dollari USA per tonnellata. Negli ultimi 12 mesi l’incremento è stato del 50%.
I motivi che hanno condotto all’aumento dei prezzi sono una domanda sempre maggiore (della serie “siamo tutti nervosi”) e alcuni fattori climatici che mettono a rischio il raccolto proveniente dal Vietnam, primo produttore al mondo di robusta e secondo in assoluto dietro al Brasile. Nel breve-medio termine si prevedono ulteriori aumenti delle quotazioni.
Facile immaginare l’effetto moltiplicativo degli aumenti dal produttore fino al cliente finale, ovvero tutti noi che beviamo il caffè al bar.
Come se tutto questo non bastasse, i consumatori “gusteranno” anche l’allineamento dell’aliquota IVA su prodotti dolciari prevista dal decreto Bersani, ovvero un incremento del 10% dell'imposta indiretta.
Insomma, state attenti quando entrate in un bar per ordinare cappuccino e brioche!

martedì 22 agosto 2006

La monnezza brandizzata

Il denaro non puzza mai, neanche quando vien fuori dai cassonetti che raccolgono i rifiuti. Justin Gignac, un intraprendente e forse (ex)squattrinato 25enne artista newyorchese, vende ciò che tutti noi buttiamo.
Il manifesto d’autore presente nel suo sito è particolarmente indicativo:

“Vendo monnezza. Perlustro NYC raccogliendo spazzatura. ... preparo con cura cubi di plastica pieni di questa roba. Ogni scatola è un pezzo unico, non cola e non puzza, viene firmata, numerata e datata. ... approffitane prima che puliscano questa città”.

L’aspetto grafico è d’impatto, efficace senza essere sudicio, per fortuna. Non mancano le “special editions” come in ogni bottega che si rispetti: attualmente sono in promozione sul sito “la spazzatura della convention nazionale del partito repubblicano” e “la spazzatura della gara inaugurale della stagione 2006 allo Yankee Stadium”.
Ogni pezzo costa 50 dollari: non sono pochi per avere un pezzo dell'intimità di New York, no?
Scommettiamo che qualcuno prenderà lo spunto per vendere i rifiuti delle nostre città? Valuto eventuali business plan al riguardo.

Mucche produttrici di energia?

Qualche giorno fa sul sito de La Repubblica compariva questo articolo. Francamente non sono ancora del tutto convinto che non si tratti un pesce d'aprile in ritardo; in ogni caso, è la dimostrazione che il proverbio secondo il quale un battito d'ali di farfalla a un capo dal mondo può provocare un uragano all'altro capo, ha qualche fondamento (??).
Si legge che:

Mucche più efficienti, che producano più latte e inquinino meno, liberando minori quantitativi di "gas-serra". E' l'obiettivo di uno studio nel quale Australia e Nuova Zelanda si apprestano a investire 3 milioni di dollari, un terzo dei quali già spesi. Le mucche (e le pecore), da sempre una delle principali risorse economiche del "Down-Under" oceanico, vengono ora additate come una delle prime fonti di produzioni di gas-serra. Le loro più che fisiologiche flatulenze, stando ai dirigenti del Fondo comune per le biotecnologie dei due Paesi, producono il 90 per cento delle emissioni di metano dell'intero comparto agricolo dei due paesi. In un'area del pianeta particolarmente sensibile alla tutela dell'ambiente, i ruminanti (in Australia se ne contano 26 milioni, in Nuova Zelanda 9) diventano una delle prime concause di riscaldamento globale. ...

Non sarebbe possibile leggere il problema da un'altra angolazione e provare invece a convogliare, sfruttandola, l'incontestabile energia profusa dai ruminanti? Sono convinto che per tre milioni di dollari, un sacco di "scienziati" presenterebbero progetti in grado addirittura di aumentare tali flatulenze.

lunedì 21 agosto 2006

Il prezzo del petrolio scenderà?

È quello che predice Mark Morrison in un articolo su Business Week. In realtà i termini non sono esattamente scolpiti nella pietra, ma si ritiene più probabile una discesa del prezzo fino alla soglia dei 50 dollari che un suo innalzamento verso quota 100. I motivi dietro questa analisi? Domanda calante e quantità di greggio stoccato in netto e deciso rialzo rispetto a un anno fa.
È un articolo “suggerito” ad arte per far raffreddare i prezzi, dimenticarsi per un po’ dei problemi legati al caro-petrolio e – soprattutto – per permettere alla fiducia dei consumatori Usa di riaffacciarsi, ergo di spendere?

(In)Giustizia lenta

Durante la settimana di rilassamento forzato, rileggevo le solite frattaglie di articoli – cartacei e non – che avevo ritagliato come un bravo studentello alle prese con le sue ricerche. Fra le cose che mi avevano colpito c’è un articolo dell’Economist, che fra le tante sue battaglie, tutte votate al credo del liberismo spinto e indiscutibile (con i pro e i contro che ne derivano), non manca di sottolineare la piaga della lentezza della giustizia. No, non stiamo parlando dell’Italia, ma della fiera nascente dell’economia asiatica, pronta a ruggire persino contro – a volte “con” (si dia un’occhiata al mio post qui sotto) – la Cina.
Ebbene, il mito del sistema giudiziario indiano, ereditato dai colonizzatori inglesi ai tempi dell’impero e fulgido esempio del radicamento della common law (il sistema giuridico tipico dei paesi anglosassoni e basato sulla prevalenza della sentenza del giudice) cade ingloriosamente a pezzetti. Le cause pendenti sono oltre 30 milioni, il rapporto giudici/abitanti è di 11 per ogni milione di persone (contro i 51 in UK e 107 in USA, tanto per restare a paesi con sistemi giudiziari simili). Esemplari sono due casi di arbitrati con somme in gioco di milioni di dollari USA: nonostante la scelta dell’arbitrato, che nel commercio internazionale è scelto come un ottimo surrogato della giustizia ordinaria per velocizzare il procedimento e garantire un’adeguata tutela anche economica della parte vittoriosa, dopo ben cinque anni in un caso e addirittura otto nell’altro si è ancora in attesa di una decisione finale, ritenuta ancora lontana.
Ogni sistema economico deve poter garantire un efficace sistema giudiziario che consenta la risoluzione delle controversie; in caso contrario, il rischio d’impresa raggiunge livelli ben maggiori di quelli indicati nei manuali di economia. L’India non può permettersi questa variabile impazzita per gli investitori stranieri.

venerdì 18 agosto 2006

Cina e India alleate nell'energia

Non era mia intenzione scrivere così spesso di petrolio e di questioni legate all'energia, ma la cronaca finanziaria è più interessante e viva di un romanzo d'appendice e offre numerosi spunti sui temi caldi.

E' notizia di qualche giorno fa che la ONGC Videsh Ltd, una società indiana di proprietà governativa che si occupa di investimenti esteri, e la Sinopec, società cinese attiva nel settore petrolifero, acquisteranno una società colombiana, Omimex de Colombia, filiale operativa dell'Omimex Group, gruppo USA operante nel mondo dell'energia (e non solo). Dopo il fallimento teleguidato dell'acquisizione di Unocal, dunque, la Cina ci riprova e assolda come alleato niente meno che l'altro gigante asiatico. L'alleanza sino-indiana è capace di mettere sul tavolo 820 milioni di dollari per assicurarsi i pozzi onshore e gli "exploration blocks" in territorio colombiano. Il risultato in futuro potrebbe essere esplosivo: la moltiplicazione esponenziale dei fattori India/Cina/popolazione/mezzi produttivi è in grado di surclassare ogni competitor.

mercoledì 16 agosto 2006

Gli affari "unti" di Venezuela e USA

Pecunia non olet. Soprattutto se il denaro viene dal petrolio. Il Venezuela, per bocca del suo presidente Chavez, non perde occasione per dichiarare la propria decisa avversione per gli USA e per tutto ciò che rappresenta: "gli Usa sono il diavolo che dà vita al capitalismo". Come reagire quindi alla lettura dell'articolo di Simon Romero del New York Times che mostra, dati alla mano, l'intescambio commerciale tra i due paesi?
Il Venezuela è il quarto fornitore di greggio per gli Stati Uniti e la vendita di petrolio è aumentata nel 2005 del 36%, mica noccioline: stiamo parlando di 40,4 miliardi di dollari. Paradossalmente il maggior beneficiario del commercio di petrolio è proprio lo Stato, che possiede senza intermediari la Petròleos de Venezuela, produttrice, estrattrice e venditrice del petrolio venezuelano. In cambio di questa fornitura di petrolio, il paese centroamericano acquista beni industriali Usa con incrementi non indifferenti in valore percentuale: da 4,8 nel 2004 a 6,4 miliardi di dollari nel 2005.
E dove c'è il fumo, non può mancare l'arrosto. La Halliburton, una "oil services company" secondo l'asettica definizione del NYT, in realtà un colosso con le mani in pasta ovunque ci siano quantità abnormi di denaro che girano e fortemente collegata alla Casa Bianca grazie a Dick Cheney, conta ben 10 uffici in Venezuela impiegando circa 1000 persone.
Mi aspetto che anche Fidel Castro, prima di rendere l'anima, provveda a istituire una Camera di Commercio Cubano-Statunitense per la tutela del tabacco cubano e la commercializzazione di sigari.

sabato 12 agosto 2006

La Cina e l'energia pulita

E così si scopre che la tanto vituperata Cina, colpevole della più nefasta politica ambientale nella storia, artefice e vittima del più incredibile sviluppo industriale e tecnologico degi ultimi decenni, si sta preparando più e meglio di qualsiasi altro paese a sfruttare energie rinnovabili. L'importo di progetti di questa portata è eccezionale: sembra che il governo di Pechino per il 2010 preveda che ben un decimo dell'energia necessaria provenga da fonti ambientalmente compatibili. Per consentire ciò, la Cina è pronta a spendere 200 miliardi di dollari nei prossimi quindici anni. Maggiori dettagli sono rinvenibili in quest'articolo qui.
Non tutto è così semplice: serie questioni di budget potrebbero minare alla base lo sviluppo della produzione di energie rinnovabili. Il costo attuale dell'energia continua a rappresentare tuttavia un peso non sostenibile a lungo.
La mia scommessa è che la Cina ci sorprenderà ancora.

Liquidità

Poco tempo fa compro un libro di cui avevo sentito parlare molto bene e che mi aveva attirato. È scritto da Zygmunt Bauman, un filosofo polacco di formazione anglosassone che descrive una società come liquida “se le situazioni in cui agiscono gli uomini si modificano prima che i loro modi di agire riescano a consolidarsi in abitudini e procedure". Questa mattina, aprendo la mia casella di posta elettronica, trovo la prima pagina di Slate, una delle news letter cui sono iscritto, un articolo di William Saletan. Con esplosiva (mi si perdoni l’ardire) attualità ritorna, questa volta drammatico, il concetto di liquidità. Saremo davvero tutti costretti a scorrere come fiumi senza solidi appigli cui legarci? E' strano pensare che ben oltre due secoli dopo Eraclito, il pensiero post-moderno ci stia conducendo a fare di necessità virtù e a rigettare ogni idea di staticità.

venerdì 11 agosto 2006

Bar

E' tanto tempo che non facevo colazione nel bar che per anni ha rappresentato un dolce risveglio ogni mattina. I prezzi non sono cambiati; le facce degli avventori alla cassa e al bancone sono più o meno le stesse, molte quelle di arricchiti che ci tengono a farsi vedere. Più discreti quelli che seduti al tavolino leggono il giornale con il caffè o il cappuccino davanti e un piattino con la brioche preparata ad arte nei locali di pasticceria all'interno. Un terzo è al telefono. Non posso non constatare che ogni anno di più aumenta il numero di persone che ad agosto lavora o rimane semplicemente in città. Niente di nuovo, comunque.